Stamattina mentre ero in treno mi è capitata per caso tra le mani una copia del Corriere Economia di oggi, 11 febbraio 2014.
Dopo averlo letto tutto, con grande stupore in ultima pagina trovo un trafiletto che parla dei nuovi gTLD: visto che capita talmente di rado che sui media italiani si parli del nostro settore, ogni volta è un’ottima notizia, figuriamoci quando a farlo è il più diffuso e autorevole quotidiano italiano.
Il pezzo, dal titolo Sono in arrivo 1.400 domini personalizzati, racconta in poche righe l’arrivo dei nuovi gTLD sul mercato internazionale.
È tutto molto bello, ma quando sul primo giornale italiano si parla di un argomento sarebbe meglio farlo con cognizione di causa.
L’articolo, che potete leggere per intero cliccando sulla thumbnail qui a sinistra, è un concentrato di piccole e grandi imprecisioni, con errori più o meno palesi, culminati nella maldestra ricerca di sensazionalismo fatta sollevando una polemica politica, che non fa mai male.
Ma andiamo con ordine…
Nel secondo paragrafo si dice:
la stringa di ricerca potrà riconoscere nuovi servizi legati a servizi (.golf .shop .college .software .holiday .party) griffe (.Lancaster .L’Oreal .Nike) e continenti (.africa da settembre).
Con tutti i marchi famosi che hanno richiesto di gestire una nuova estensione, proprio L’Oreal dovevano citare, che è uno dei pochi che hanno rinunciato (Application Status: Withdrawn)! In più, hanno sbagliato a scrivere il nome del gTLD, mettendoci l’apostrofo.
Più avanti leggiamo:
Un nuovo suffisso, oltre ad essere un aiutino per le aziende che vogliono farsi conoscere, può promuovere un territorio, gestire al meglio un marchio o brevetto ed identificare con esattezza la provenienza di un prodotto doc. Il tutto a caro prezzo, visto che il servizio non è gratuito ma costa da 185 fino a 800 mila dollari, per il ricercatissimo .luxury.
Qui i numeri sono lanciati a caso, e in tutti i casi sono sballati: non si capisce di cosa si stia parlando, se ci si riferisce ai 185.000 dollari necessari per fare la richiesta per diventare un registry e gestire un gTLD, oppure se si parla dei soldi che deve spendere ciascuno di noi per acquistare un dominio. In ogni caso, registrare un .luxury costa in questa fase tra i 780 e gli 849 dollari, circa un millesimo della cifra citata nell’articolo.
Continuando con la lettura, arriviamo all’apice degli errori:
Il ghiotto puntoroma lo ha scippato al sindaco Ignazio Marino il gruppo inglese TLDh quotato a Londra, che si è accaparrato molti altri domini dell’italian style nel mondo, come .pizza.
Roma è l’unica municipalità d’Europa che non è proprietaria del suo corrispettivo dominio. Un danno enorme, se si pensa a quanti servizi turistici potrebbero transitare su quella stringa.
Qui gli errori sono talmente tanti che per riportarli non possiamo far altro che utilizzare un elenco numerato:
- I termini per richiedere un gTLD sono scaduti ad Aprile 2012, e il reveal day (il giorno nel quale i nuovi gTLD sono stati annunciati al mondo) si è svolto nell’ormai lontano 13 Giugno 2012. In quel momento, e nei mesi precedenti, quando si sarebbe dovuta preparare la domanda per partecipare, il sindaco di Roma era Gianni Alemanno.
- Il gruppo TLDh, che da poco ha cambiato nome in Minds + Machines, ha applicato per 70 estensioni, scorrendo la lista delle quali non se ne trova una che abbia a che fare con l’italian style nel mondo. Tranne il citato .pizza, sul quale però Minds + Machines compete con altri richiedenti in una corsa a 4 sulla quale al momento non ha certezze di vittoria.
- Premesso che non abbiamo capito a cosa si riferisca l’espressione “municipalità d’Europa” (e su questo neanche Google è riuscito ad aiutarci), abbiamo provato a guardare se le capitali dei primi 30 stati europei per popolazione avessero richiesto il proprio gTLD, scoprendo che l’hanno fatto solo 10 capitali su 30.
Ma il punto più importante, quello che mette la parola “fine” a qualsiasi discorso, è: non è affatto vero che TLDh abbia preso la gestione dell’estensione .ROMA!
Le regole di ICANN per aggiudicarsi un gTLD geografico erano chiare: bisognava avere un chiaro coinvolgimento delle autorità locali e nazionali (era necessaria infatti l’approvazione scritta di Comune, Regione e Stato di appartenenza della città), e TLDh non ce l’aveva.
Fin dal 20 Novembre 2012 le nostre autorità hanno contestato la richiesta di TLDh, che infatti ha da tempo rinunciato. Questo significa che al Comune di Roma non è stato scippato proprio nulla, e potrà richiedere il proprio gTLD al prossimo giro, quando ICANN riaprirà i termini per richiedere di diventare registry di una nuova estensione.
Cari giornalisti e redattori di Corriere Economia, la prossima volta che parlate di domini se avete bisogno di qualche informazione fate un fischio.